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Competitività: l’Italia è 43esima al mondo

Competitività: l’Italia è 43esima al mondo. Banche e robot spaventano

Il Global Competitiveness Index, l’indice calcolato dal World Economic Forum, conferma al primo posto la Svizzera, seguita da Stati Uniti, Singapore, Olanda, Germania. Il Mef ridimensiona il valore scientifico della ricerca

MILANO – L’Italia migliora di un gradino nella classifica dei paesi più competitivi e segna il suo punteggio migliore di sempre, ma rimane nelle retrovie passando dal 44° al 43° posto fra i 137 Paesi considerati. È quanto emerge dal Global Competitiveness Index, l’indice calcolato dal World Economic Forum: migliorano mercato dei beni ed educazione superiore e formazione. Al contrario, “nonostante le recenti riforme il mercato del lavoro e i mercati finanziari rimangono punti deboli”.

A dieci anni dalla crisi finanziaria globale restano delle forti preoccupazioni sulla tenuta di fronte a eventuali colpi di vento: “Le economie sono ancora a rischio di un ulteriore shock, in particolare nelle banche e nel sistema finanziario, e sono impreparate per la prossima ondata di innovazione e automazione”, dice il Global Competitiveness Index. La classifica della competitività conferma al primo posto la Svizzera, seguita da Stati Uniti, Singapore, Olanda, Germania.

L’organizzazione elvetica che organizza ogni anno il forum di Davos esprime “particolare preoccupazione” per la solidità delle banche, e spiega che “la competitività è rafforzata, non indebolita” da un’adeguata protezione sociale dei lavoratori a fronte della flessibilità. Con molti posti di lavoro a rischio per l’automazione e la robotica, “sarà vitale” creare condizioni in grado di resistere a shock e sostenere il lavoro nei periodi di transizione”.

Secondo l’organizzazione elvetica, in Italia migliorano l’efficienza del mercato dei beni (60mo posto) e l’educazione superiore e la formazione (41). Restano i punti forti italiani delle capacità innovative (32), della sofisticatezza delle imprese (25) e delle infrastrutture (27). Al contrario, “nonostante le recenti riforme il mercato del lavoro (punteggio 116) e i mercati finanziari (126) rimangono punti deboli” che il Wef definisce “difficoltà croniche” per l’Italia. Il rapporto ci assegna dunque la 43esima posizione su 137 paesi, in miglioramento di un posto, ma restiamo ultimi del G7, è ben distanziati da tutti i big europei. Anche il Portogallo, 42esimo nella classifica di quest’anno dalla 46esimo piazza del 2016, ci precede.

Siamo solo di poco sopra il Bahrein e le Mauritius. Numeri che trovano però l’opposizione del Mef: dal Tesoro si fanno notare gli aspetti metodologici per i quali queste ricerche vanno ricontestualizzate e in particolare si sottolinea che il peso delle opinioni sull’indice è pari al 60%. In particolare, tre dei quattro pilastri dell’analisi nei quali l’Italia si posiziona peggio si basano prevalentemente sulle indagini di opinione. Il campione al quale viene somministrato il questionario, peraltro, è molto contenuto. Su 1000 questionari inviati, viene compilato e restituito circa l’8-10%. In altre parole: l’opinione di 80 italiani su una popolazione di 60 milioni determina il posizionamento dell’Italia in questa classifica.

Uno dei problemi globali individuati dall’organizzazione elvetica è invece la capacità di trasformare l’innovazione in aumenti di produttività, fra crescenti investimenti in tecnologia e difficoltà nel diffonderli nell’intera economia. Inoltre la robotica e l’automazione rivoluzioneranno il mondo del lavoro: il Wef avverte che “la competitività è rafforzata, non indebolita” da un’adeguata protezione sociale dei lavoratori a fronte della flessibilità. Con molti posti di lavoro a rischio, “sarà vitale” creare condizioni in grado di resistere a shock e sostenere il lavoro nei periodi di transizione”.

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